Venerdì 22 Gennaio 2016
Castellania è un pugno di case sul colle, novanta abitanti che resistono nel paesino dove è nato Fausto Coppi, il ciclista più amato di tutti i tempi. A Castellania ci sono stato domenica pomeriggio, mi avevano invitato gli organizzatori deLa Mitica, la cavalcata ciclistica con bici da corsa d’epoca sulle strade di Coppi che si svolge ogni anno verso fine giugno. Loro formano un’associazione culturale che tra le altre cose si preoccupa anche di presentare libri di argomento ciclistico, così mi hanno invitato per parlare del romanzo “La vita a pedali”, liberamente ispirato all’infanzia di Felice Gimondi, uscito lo scorso anno per le edizioni Bolis di Bergamo.
E’ stato un momento suggestivo. Sono arrivato con il mio amico Romano Capitanio, grande ciclista, abbiamo visitato il paesino, tappezzato di immagini del grande Fausto, ma anche del fratello Serse, il monumento funebre in alto, la casa natale. Tutto intorno i colli di Tortona, un paesaggio dolce, tutto saliscendi, con anche alcuni strappetti che possono fare male. Noi siamo entrati in una struttura di accoglienza nuova, con un bell’auditorium, c’era una novantina di persone, tutti appassionati di ciclismo, anche una buona presenza femminile, persone di età diverse. Bel pubblico. C’era anche il mitico Marino Vigna, olimpionico, per tre anni direttore sportivo di Eddy Merckx, amico di Felice Gimondi, da lungo tempo consulente della Bianchi.
Conduceva l’incontro Gino Cervi, importante penna del mondo ciclistico e non soltanto. E’ stato emozionante trovarsi a parlare in quel posto che per me è un po’ ilsantuario del ciclismo, un luogo dove si incontrano le generazioni, le leggende. Un posto che evoca certamente Coppi, ma con Coppi Gino Bartali e con Gino il passato del ciclismo più lontano, il ciclismo della leggenda. E con Coppi c’è anche Gimondi, che da bambino tifava per lui, e allora il ponte si allunga fino alle ultime generazioni.
Ho parlato di Gimondi, ho parlato di ciclismo agli appassionati di questo sport. Ma ho parlato anche dell’Italia di quegli Anni Cinquanta, quell’Italia che veniva fuori da una guerra che l’aveva massacrata fisicamente e moralmente. Eppure guardava avanti. Eppure aveva una gran voglia di alzare la testa, di andare verso il futuro. Si parlava sempre di avvenire, in quegli anni. Forse perché si volevano prendere le distanze da quel terribile passato.
E allora si correva. Lo spirito di quell’Italia ottimista ha realizzato il boom economico. Oggi stiamo molto, molto meglio di allora. Non c’è paragone. Eppure siamo pessimisti, a volte persino distruttivi. Ma perché non alzare la testa anche noi e capire che il futuro sta sempre davanti e che in gran parte dipende comunque dalle nostre decisioni, dal nostro atteggiamento?
E’ stato un momento emozionante. Lì, nel paese di Coppi, sospesi tra la memoria e il futuro, collocati su quel piccolissimo gradino che chiamiamo presente, che dura un attimo e subito si dissolve.
Nella sfida con gli amici al Passo di San Marco nel giugno scorso ha dato l’anima, ma un dannato mal di schiena lo ha rallentato dopo il Pian dell’Acqua, tuttavia come il Felice non ha mollato (da Olmo al Brembo un accettabile un’ora e 39 minuti).