Un modello urbanistico per l’individuazione delle criticità nei percorsi ciclabili
Un modello urbanistico per l'individuazione delle criticità nei percorsi ciclabili
Quando vi muovete in bicicletta attraverso la città ed incontrate dei punti pericolosi, vi siete mai domandati: “perché passo da qui?” Con tutta evidenza, anche un ciclista esperto e fine conoscitore degli anfratti più reconditi del tessuto urbano finirà col riconoscere l’impossibilità di evitare certi passaggi critici. Questa constatazione è stata il punto di partenza per una lunga riflessione, che mi ha portato dapprima a rivedere un’idea di città costruita nell’arco di decenni, e di seguito a rivalutare la natura degli interventi necessari a rendere tale città fruibile alle forme di mobilità leggera.
La bicicletta deve potersi muovere sulle strade: è un concetto che ci ripetiamo dall’inizio della campagna #salvaiciclisti, partendo da quanto maturato nelle realtà più evolute del Nord Europa. È anche quello che normalmente accade con la mobilità ciclabile “di prossimità”, che pure a Roma ha visto un deciso incremento negli ultimi tempi. Condizione necessaria e sufficiente a tale fruizione è che il tessuto urbano sia uniforme, con un traffico distribuito ed a bassa velocità, cosa che di norma si verifica già all’interno dei quartieri (ad esclusione delle strade ad alto traffico).
Esiste quindi un tessuto urbano idoneo all’uso della bici, per l’esattezza quello “a griglia” tipico delle aree densamente urbanizzate. Tuttavia, dove l’urbanizzazione diviene più rarefatta, le strade si riducono di numero, come pure i punti di interesse che concorrono a moderare le velocità degli autoveicoli in transito, e si creano corridoi a scorrimento veloce che mettono a rischio la sicurezza di chi si muove in bicicletta.
Non è difficile individuare le barriere urbanistiche responsabili di tali criticità. In qualche caso si tratta di barriere naturali, a cominciare dai fiumi, dove l’attraversamento è consentito in corrispondenza di pochi ponti dove il traffico si imbottiglia. In maniera del tutto analoga si comportano le ferrovie di superficie, superabili a mezzo di ponti o sottopassi, spesso realizzati in epoche di traffico più ridotto e nel corso degli anni divenuti inadeguati. Nelle città storiche la presenza di mura perimetrali rappresenta un ulteriore vincolo alla uniforme distribuzione delle strade e del traffico.
Una criticità ancora più grave è rappresentata dalle autostrade urbane, corridoi ad alto scorrimento spesso vietati ai ciclisti, che producono snodi viari di traffico veloce e su traiettorie oblique nei punti di scambio con la viabilità ordinaria. La più estesa e micidiale di queste strutture è probabilmente il Grande Raccordo Anulare di Roma, che cinge la città come una grande muraglia, vincolando l’entrata e/o l’uscita a pochi svincoli dove si sviluppa una coincidenza mortale tra densità dei veicoli e velocità degli stessi. Altro problema diffuso è la presenza di aree “impenetrabili” sia alla viabilità veicolare che alla mobilità lenta. Esempi di ciò sono le aree agricole a ridosso delle zone residenziali, i parchi urbani (Roma ne ha in abbondanza), gli scali ferroviari e le aree storiche ed archeologiche, che producono una ulteriore frammentazione del tessuto urbano.
La città cresciuta intorno a queste barriere ha una forma difficilmente definibile, alternando aree a viabilità diffusa ed uniforme (che chiameremo, con qualche licenza, “quartieri”) con pezzi di tessuto urbano “di connessione”, dove il traffico assume caratteristiche di elevata densità e velocità, inconciliabili con la coesistenza di forme di mobilità lenta come la bici. Una organizzazione a “grappolo”, dove la ciclabilità non ha problemi enormi nei fitti reticoli interni ai quartieri, ma li incontra nel passaggio tra quartieri limitrofi, e ne incontra via via sempre di più man mano che ci si allontana a distanze maggiori.
Il modello elaborato fin qui ci offre gli strumenti per comprendere dove e perché le criticità descritte hanno elevata probabilità di presentarsi, ed è quindi in grado di indicare i punti esatti da mettere in sicurezza, circoscrivendo la necessità di intervento a poche e semplici sistemazioni, oltretutto quasi sempre in zone poco interessate dalla compresenza di altri soggetti ed interessi concorrenti (negozi ed in generale aree interessata da un forte flusso pedonale).
Le soluzioni possono essere molte e diverse, ma al tempo stesso non particolarmente invasive né costose, e con tempi di messa in opera relativamente circoscritti. Senza stare qui ad elencarle nel dettaglio (cosa che ho fatto più diffusamente sul mio blog, dove lo sviluppo dell’analisi è stato suddiviso in quattro parti), lascio spazio alla presentazione che ho illustrato venerdì scorso in un incontro tecnico con i responsabili comunali. Credo sia sufficientemente chiara e comprensibile da tutti, oltreché liberamente disponibile nel caso riteniate di sottoporre questo modello di analisi delle criticità anche ai vostri referenti istituzionali.